«Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».

2 Giugno Martedì IX Settimana del Tempo Ordinario
Dal Vangelo secondo Marco (Mc 12,13-17)
In quel tempo, mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso.
Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?».
Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». Ed essi glielo portarono.
Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
E rimasero ammirati di lui.
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Il detto è diventato proverbiale per dire tante cose; ma preso per buono così come è stato messo sulle labbra di Gesù, che scruta i cuori e conosce le coscienze, è facile accoglierlo come uno “smaschera-ipocrisie” serpeggianti in ogni tempo, compreso quello del coronavirus, ossia quanto tutto sembra far pensare ad altro e dietro belle parole si nasconde il tranello.
La sottigliezza di chi ha ben studiato l’inganno non sfugge alla sapienza di Gesù, che, senza apparentemente dare attenzione al loro trabocchetto, risponde candidamente con una richiesta, apparentemente ingenua, ma che fa da ponte per rilanciare una risposta che, per quanto possa apparire innocua, fa centro nella mente – e nella rabbia – di coloro che tentavano di trarlo in inganno.
Sta di fatto che tutti – nemici compresi, ma questi a brutto muso! – ne restano ammirati.