Certo ti radunerò tutto, o Giacobbe, certo ti raccoglierò, resto di Israele. (Mi 2.12)

A cura di Alfredo Barone Comunità “In alto i nostri cuori”

Nasce spontanea la domanda: Cosa vuoi dirmi Signore? Cosa vuoi dire a tutti noi attraverso questa parola?
Innanzitutto, credo che sia importante sapere chi è Michea, l’autore di questa profezia. Cosa viveva e a chi si rivolge. Cosa vivevano i destinatari di questa parola. Così possiamo indentificarci e guardarci anche noi come destinatari di questo annuncio. Di questa parola profetica.
Michea è considerato uno dei profeti minori, è un contemporaneo del ben più famoso Isaia, ma è preso in grande considerazione tanto da essere ricordato dal profeta Geremia quasi un secolo dopo la sua morte (vedi Ger. 26,18), ma anche nel vangelo di Matteo (cfr. Mt. 2, 5.6), il quale riprende quella che è tra le più note profezie di Michea (Mi. 5,1.3), quando i magi vanno prima da Erode e lui riunisce i capi del popolo e i sacerdoti per informarsi dove sarebbe nato il Cristo. Quindi Michea profetizza la venuta di Cristo, l’incarnazione di un Dio, un Dio che si fa uomo. Questa parola però, non è stata capita al suo tempo, siamo noi oggi che alla luce di quanto accaduto possiamo leggerla così. Questo perché i destinatari di questa profezia e di tutte le profezie di Michea, vivono il tempo della deportazione da parte dei babilonesi. È importante sapere chi viene deportato in Babilonia per capire meglio a chi si rivolge il profeta; infatti, vengono deportati solo i notabili del popolo, solo chi contava, chi aveva ricevuto una istruzione, i grandi condottieri, chi aveva delle competenze tali da portare un profitto, così che i babilonesi ne traevano un vantaggio. Da una parte garantiva ai babilonesi una maggiore produzione nel loro territorio e dall’altra una certa tranquillità nella gestione dei territori conquistati perché lì erano rimasti gli ultimi, gli scartati, coloro che agli occhi degli uomini non hanno valore.
È chiaro che i destinatari sono tutti coloro che erano rimasti nelle terre, coloro che non contavano molto, gli ultimi della società, proprio questo dato fa intuire la scelta, la predilezione di Dio verso gli ultimi, i piccoli, gli umili.
A noi il Signore ci chiama resto d’Israele.
Ma chi è questo resto d’Israele? cos’è il resto?
Prima di tutto vediamo il termine Israele e poi resto.
Israele è nel linguaggio biblico il popolo eletto di Dio.
Eletto nel senso che Dio sceglie Israele per rivelarsi. Per farsi conoscere. Per amarlo e donargli così la Sua salvezza.
Quindi se noi oggi siamo qui, se noi oggi facciamo questo cammino è perché Dio ci ha scelto, ci ha chiamato perché ciascuno di noi possa conoscerlo più intimamente e seguire le sue vie.
Con tutta la nostra intelligenza, nonostante i più grandi sforzi dell’uomo per tentare di scoprire Dio, di cercare di darsi delle risposte sull’esistenza di un Dio e nel volere seguire le sue vie, l’uomo non può nulla senza l’intervento di Dio nella storia, nella vita dell’uomo, nella vita di ciascuno di noi.
Non possiamo nulla senza che Dio si riveli a noi. Se non scende su di noi lo Spirito Santo, se non è Dio a fare la prima mossa. Certamente noi dobbiamo avere un’apertura di cuore all’azione dello Spirito, ma è sempre Lui che ci raduna, ci raccoglie.
Gesù dice “Questa è la vita eterna: che conoscano te, l’unico vero Dio e colui che hai mandato, Gesù Cristo” (Gv. 17, 3).
Quando Gesù parla della vita eterna, Egli non intende semplicemente la vita che viene dopo la morte, ma intende la vita autentica, vera, che merita di essere vissuta, ed è di ogni essere umano il voler vivere una vita di senso, il desiderare una vita vera, piena, una vita che valga la pena di essere vissuta, che sia una gioia.

Con nostra grande sorpresa, Gesù ci dice che la vita, quella vera è conoscenza, la conoscenza di Dio.
Conoscere nel senso della Sacra Scrittura è un diventare interiormente una cosa sola con l’altro. Conoscere Dio, conoscere Cristo significa sempre anche amarLo, diventare in qualche modo una cosa sola con Lui in virtù del conoscere e dell’amare. La nostra vita diventa quindi una vita autentica, vera e così anche eterna, se conosciamo Colui che è la fonte dell’esistenza e di ogni vita.
Così la parola di Gesù diventa un invito per noi: diventiamo amici di Gesù, cerchiamo di conoscerLo sempre di più! Viviamo in dialogo con Lui! Impariamo da Lui la vita retta, diventiamo suoi testimoni! Allora diventiamo persone che amano e allora agiamo in modo giusto. Allora viviamo veramente.
Conoscere significa anche, che la vita è fatta di relazione. Relazione con Dio e con il prossimo, con coloro che ci circondano.
Sappiamo bene cosa significa vivere una relazione nella verità e nell’amore, quanto può dare pienezza alla vita, quanto la può rendere bella.
Proprio per questo, quando viviamo la distruzione di una relazione facciamo una delle esperienze più dolorose. La rottura di una relazione è portatrice di divisione e noi sappiamo bene chi è colui che divide, che separa.
Pensiamo alle famiglie, la famiglia se vive una relazione nell’amore e nella verità vive una pienezza di vita, altrimenti si vive un’esperienza di morte, che non fa desiderare neanche più di instaurare relazioni profonde.
Ora allarghiamo il cerchio: la nostra comunità,
Cosa succede quando viviamo le distruzioni delle relazioni e quindi la divisione in comunità? Altro che radunarci…ci disperdiamo…
La parrocchia, dove dovremmo prestare il nostro servizio ai fratelli, se siamo in divisione cosa possiamo offrire? E così anche in comunità cosa possiamo offrire se siamo nella divisione?
Se è stato proprio Lui, Gesù, che ci ha chiamato e ci ha raccolti e radunati per essere il suo popolo eletto, per essere suoi figli, nella chiesa e più in particolare nel cammino nel Rinnovamento Carismatico Cattolico dobbiamo ricercare più profondamente la relazione con Colui, che è Egli stesso la Vita, con Gesù, che può sostenere anche la nostra vita al di là di tutte le difficoltà che incontriamo nella vita, al di là di tutti i fallimenti, le cadute e le nostre paure.
Questa relazione, questa amicizia, questa conoscenza come si forma, come possiamo relazionarci con Dio? Solo attraverso la preghiera. Per noi in modo particolare la preghiera carismatica, la preghiera di lode.

Ritorniamo alla parola resto d’Israele.
Israele abbiamo detto, elezione da parte di Dio che si realizza nella sua rivelazione.
Ora la parola resto.
Quando il Signore ci dice che noi siamo il resto d’Israele, il popolo scelto da lui…, possiamo identificarli come i 144.000 salvati dell’apocalisse (Ap. 7, 9) dove Giovanni chiede “Chi sono queste persone vestite di bianco, da dove vengono?” a Giovanni viene detto che sono quelli che vengono dalla grande tribolazione, sono quelli che hanno lavato le loro vesti nel sangue dell’agnello.
Quante volte abbiamo attraversato la tribolazione, momenti di sconforto, la persecuzione, la calunnia, il non sentirci compresi dai fratelli più vicini e magari anche da Dio stesso, perfino giudicando l’opera di Dio perché permetteva quello che stava succedendo nella nostra vita. Mai a pensare invece, che Dio aveva un piano più grande, mai avremmo pensato che stava già pensando al suo resto, stava facendo qualcosa di nuovo, stava prendendosi cura di noi.
Perché Dio agisce e i suoi pensieri e progetti vanno molto al di là di quello che noi possiamo pensare e desiderare; perché Lui, l’onnipotente e eterno Dio, opera sempre per la nostra salvezza.

Inoltre, questa parola, “resto”, mi ha fatto riflettere su due atteggiamenti che potrebbero nascere in noi.
Il primo è: Noi siamo il resto! Siamo i migliori. Sono meglio degli altri.
Il secondo è: Non sono all’altezza, non sono degno, ho paura di quello che il Signore vuole da me.
Entrambi sono atteggiamenti che bloccano il cammino di conversione e di relazione con Dio. Entrambi pongono al centro di tutto il nostro io e non Dio.
Io sono migliore di quello, Signore. Vado a tutte le preghiere, a tutte le messe, faccio il servizio in parrocchia, aiuto i fratelli bisognosi, ascolto e faccio tutto ciò che mi chiedi. Ricorda l’atteggiamento del fariseo nei confronti del pubblicano, ve la ricordate la parabola di Gesù? Quindi il fariseo che fa, loda sé stesso.
Di contro, l’altro atteggiamento è carico di falsa umiltà e come il fariseo cade nel peccato di orgoglio e di superbia. In pratica stiamo dicendo a Dio che siamo noi a fare del bene non Dio, che non sono degno, all’altezza, cioè stiamo dicendo a Dio che sta sbagliando a scegliere me, mettiamo la nostra paura al di sopra di Dio, mettiamo in dubbio l’opera di Dio in noi e come diceva il profeta Isaia siamo come quel vaso che dice al vasaio come deve essere lavorato, quale forma e uso è destinato a fare. Capite bene che questo modo di fare non è dell’uomo dello spirito.
Cosa fa l’uomo dello spirito. Cosa faceva il pubblicano?
Innanzitutto, chiedeva pietà a Dio e riconosceva la sua natura creaturale di fronte al creatore di tutte le cose, in questo modo riconosceva che solo Dio ha il potere di salvare e operare nella sua vita e attraverso la sua vita. Non lodava sé stesso, ma metteva Dio al di sopra di tutto, persino del suo peccato. Nella lettera ai Romani 5, 8 San Paolo ci dice che la dimostrazione dell’amore di Dio consiste nel fatto che mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi. Non ha aspettato che noi diventassimo prima dei santi.
Non saranno, quindi, le nostre miserie, le nostre mancanze, difetti, debolezze a non permettere a Dio di operare. Lo stesso San Paolo dice 2Corinzi 12,7-10: “Mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, perché dimori in me la potenza di Cristo. Perciò mi compiaccio nelle mie infermità, negli oltraggi, nelle necessità, nelle persecuzioni, nelle angosce sofferte per Cristo: quando sono debole, è allora che sono forte”.

Vediamo ora la parola: “Certo ti radunerò – certo ti raccoglierò
La parola “certo” già fa intendere qualcosa! La certezza di un Dio che viene in aiuto del suo popolo!
Questo mi fa riflettere sulla fedeltà di questo Dio che non si arrende mai davanti all’uomo anche quando questo gli risponde NO.
Vedete, la grandezza della nostra religione, della religione cristiana, che non troveremo in nessun’altra religione, è proprio qui, in questa ricerca da parte di Dio verso l’uomo.
Dio ci viene a cercare, Dio ti viene a cercare, è venuto a cercarmi! Perché Dio ha stima di te, ti ritiene degno del suo amore e della sua fedeltà.
Tutta la Sacra Scrittura è un continuo calarsi di Dio sull’uomo. Se guardiamo alle origini della nostra fede, il nostro padre Abramo, è stato chiamato da Dio senza che lui avesse chiesto niente…DIO si rivela ad Abramo e gli chiede di fidarsi di Lui: “Gn 12) Vàttene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre, verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò, renderò grande il tuo nome e diventerai una benedizione”.
Davanti a tali parole, Abramo, come un folle, prende la sua famiglia e si incammina non sa neanche dove va, ma si fida…
Mi domando: se capitasse a me?
A Mosè, nel roveto, manifestazione potente di Dio, gli chiede di andare a combattere gli egiziani, Mosè, inizialmente, risponde no a Dio. Certo non in modo esplicito, ma ponendo a Dio delle obbiezioni e lo fa più volte. Aveva detto, per esempio: “chi sono io?”, in altre parole, come potrei io, un uomo vecchio, da solo, compiere questo?
Per rispondergli, Dio non lo incoraggiò per le sue capacità, perché Mosè non aveva in sé le capacità di compiere questa missione. Invece, il Signore gli rispose semplicemente: “Io sarò con te”.
Quante volte ci è capitato di dire a Dio perché proprio a me Signore? C’è quel fratello che è più bravo e più bello di me.
Quando Dio ci chiede di fare qualcosa, quando ci chiama, il successo non dipende dalle nostre capacità, ma dalla presenza di Dio. Dio rassicurò Mosè dicendogli che era con lui.
Dio diede a Mosè una missione, e Mosè pose delle obiezioni. Egli faceva questo perché stava guardando alla difficoltà della missione e alle sue capacità, ovvero, alla sua debolezza, anziché alla potenza di Dio.
Il Signore non ti dice che ti toglie dalle difficoltà, ti dice che sarà al tuo fianco, sarà sempre con te. Nessuno fa un contratto di assicurazione contro le tribolazioni e le avversità della vita con Gesù. Chi si mette alla sequela di Cristo Signore riceve in cambio la Sua perenne presenza, non ti abbandonerà mai, la Sua forza, la Sua misericordia, il Suo eterno amore.

Dio ha affidato anche a noi una missione? Quale? Ognuno di noi, dentro di sé deve cercare una risposta a questa domanda, deve  chiedere al Signore. Vi assicuro che Dio non vi deluderà mai deludendovi, perché non sarà mai quello che noi avevamo pensato.

Se siamo oggi qui riuniti a pregare insieme, se siamo venuti qui è perché il Signore ci ha chiamato qui oggi. Magari attraverso un fratello della comunità, ma è stato solo Lui, Dio, che ci ha voluto qui.
E noi abbiamo risposto a questa chiamata, con tutti i nostri limiti, le nostre paure, preoccupazioni, miserie i nostri peccati.
Certo ti radunerò, certo ti raccoglierò, ora, in questo momento, nella condizione che stai vivendo, viviamo questa parola. Facciamola entrare, perché sono certo che il Signore vuole parlare a ciascuno di noi, personalmente. Oggi, in questo luogo, Dio vuole chinarsi per raccoglierti. Per venirti a cercare e stare con te. Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.

Ora tocca a noi, Lui ci ha radunati ora, oggi e poi? E quando usciamo che facciamo? Siamo soli, sono solo? Certo che no, come abbiamo detto, nel caso di Mosè, Lui è con noi, non ci abbandona.
È vero che ognuno di noi vive difficoltà, sofferenze, condizioni avverse, le vive per forza maggiore, le vive e basta, le deve vivere e affrontare giorno per giorno con o senza quella forza che viene dall’onnipotente.
Tutte le nostre scelte, le nostre decisioni, quello che pensiamo e che facciamo è condizionato da una mancanza, un vuoto che abbiamo da sempre a causa del peccato originale, una ferita dell’anima.
Solitamente cerchiamo di riempirci con tutto quello che ci circonda, tutto ciò che è all’esterno di noi, perché pensiamo che proprio quella cosa che ci manca è la causa della nostra infelicità. Allora quando riusciamo a cambiare questo nostro modo di fare? Quand’è che facciamo un salto di qualità, un cambio di direzione verso una concreta conversione?
Quando cominciamo a comprendere che la nostra infelicità, mancanza, vuoto, può essere colmata solo da una profonda esperienza d’amore. Solo lasciandoci amare profondamente. Da chi? Da un uomo? Una donna? Siamo creature, lo abbiamo detto prima, siamo limitate, arriviamo fino ad un certo punto. Allora chi?
Certamente da Dio che è la fonte stessa dell’amore. Solo Lui può darci questa esperienza, solo Lui può dare significato alla nostra esistenza, alla nostra vita, alla nostra storia. Proprio per questo ci raduna, ci raccoglie. Come un papà o una mamma che richiama la famiglia, i figli amati, per ascoltarli, per raccogliere le loro lacrime, per consigliarli, per nutrirli, dargli da mangiare, per dargli forza.
Sappiamo bene che tutti quelli che oggi sono qui e tutti quelli e che il Signore vorrà radunare e raccogliere, hanno dovuto vivere situazioni e dinamiche particolari, e senza rendersene conto li hanno portati a vivere difficoltà soprattutto nella relazione con il Signore e, di conseguenza, anche con i fratelli. Tutti noi, come sapete bene, siamo sempre sotto un continuo attacco dal nemico di Dio, da colui che è divisione, che è separazione. Tutti abbiamo fatto e facciamo esperienza di questa tremenda lotta. Ma oggi il Signore viene a ricordarci che non sei solo in questa lotta, ci ha radunati tutti e vuole radunare e raccogliere altri fratelli. Perché tutti coloro che Dio chiamerà possano ritrovarsi in Lui, in quella soddisfazione della vita, in quella ricerca del senso della nostra vita, che la renderà piena e completa.
Vedete quanto ci ama Gesù, mi viene in mente la parabola della pecorella smarrita.
(Lc 15,4.7) «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione».
I padri della chiesa interpretano, spiegano questa parabola vedendo nei giusti gli angeli. Dio, che era circondato dagli angeli, lascia la sua dimora, il cielo, e va alla ricerca dell’uomo che si era perduto…
Gesù ci cerca sempre. Come 2000 anni fa continua a camminare in mezzo a noi per liberarci e guarirci, in questo cammino nel Rinnovamento Carismatico Cattolico, per noi un cammino di conversione costante in cui, viviamo in modo concreto la Sua presenza, per mezzo del suo Spirito, insieme a Maria come in quel giorno nel cenacolo dove tutti furono battezzati nello Spirito.